Il Caf Acli ha analizzato per Il Sole 24 Ore del Lunedì una platea di oltre 817mila contribuenti che quest’anno hanno presentato il modello 730 tramite i propri uffici, indicando nel Quadro B il possesso di un’abitazione principale (codice «1»): è questo, infatti, uno dei requisiti richiesti dal Decreto Aiuti quater (DL 176/2022) per avere il superbonus su unità singole – case monofamiliari e unità indipendenti – in relazione a lavori avviati dal prossimo 1° gennaio. Oltre al possesso della prima casa tramite la proprietà o un altro diritto reale di godimento, ci vuole anche un reddito di riferimento non superiore a 15mila euro, calcolato con il quoziente familiare definito dal decreto stesso.
In pratica, bisogna sommare i redditi complessivi dei familiari e dividerli per un coefficiente così definito: il contribuente vale 1; se c’è il coniuge si aggiunge +1 (idem se c’è un convivente o soggetto unito civilmente); se c’è un familiare a carico si aggiunge +0,5 (che diventa +1 se i familiari sono due e +2 se i familiari a carico sono tre o più). Ad esempio, la somma dei redditi di una coppia con un figlio a carico può arrivare fino a 37.500 euro, che diviso per 2,5 dà appunto il valore limite di 15mila euro.
Il Caf Acli ha considerato il reddito dichiarato ai fini delle agevolazioni fiscali e il numero dei familiari indicati in dichiarazione dei redditi. Il risultato è, appunto, il dato del 14,4% di contribuenti teoricamente ammessi al superbonus. È importante sottolineare “teoricamente”, perché non è detto che le abitazioni possedute siano unità singole: anzi, potrebbe trattarsi di appartamenti in condominio. Quindi, la quota di chi potrà accedere al superbonus sarà ancora più bassa. La percentuale dei potenziali beneficiari si abbassa dove il reddito medio è più alto (8% in provincia di Bolzano, 10% in Emilia Romagna, 11,9% in Lombardia). E si alza, al contrario, nelle regioni a basso reddito, per lo più al Sud (32,7% in Sicilia, 27,3% in Puglia, 26,8% in Sardegna). È un dato prevedibile, che premia le zone dove storicamente i bonus edilizi sono meno usati. Quasi metà dei potenziali beneficiari sono single e quelli con familiari a carico sono il 20%, di cui solamente il 2% con tre o più familiari oltre il coniuge. Insomma: non sembrano essere molte le famiglie che riescono ad avere un immobile di proprietà e dei figli con un reddito di riferimento di 15mila euro al lordo delle imposte.
A rendere ancora più accidentata la strada che porta a ottenere l’agevolazione ci sono altri paletti che non emergono dai dati dei contribuenti. Imbastire questi lavori presenterà, infatti, diversi problemi dal punto di vista finanziario: quanti contribuenti con un reddito di riferimento di 15mila euro e, in qualche caso, figli a carico avranno liquidità per pagare queste operazioni? Probabilmente, non molti. Diventano, così, decisivi cessione del credito e sconto in fattura, magari abbinati a un prestito ponte, come strada alternativa a un esborso che in pochi si potranno permettere. Anche perché, con livelli di agevolazione comunque parecchio elevati, diventa impossibile il recupero in detrazione diretta di cifre presumibilmente importanti (90% in quattro rate annuali). Bisognerà, insomma, andare in banca a vendere questi bonus, trovandosi ad affrontare un mercato che, al momento, è quasi completamente fermo: gli istituti di credito hanno raggiunto il limite della loro capienza fiscale e, nella quasi totalità dei casi, non comprano. Un blocco che, indirettamente, limita anche gli sconti in fattura delle imprese: anche questa strada sarà molto difficile da percorrere. Ammesso che si riesca a superare questo primo ostacolo, magari trovando una strada alternativa alla cessione, poi, resta in ogni caso il 10% a carico del contribuente. Per pagare il quale si torna alla casella iniziale: o si ha a disposizione la liquidità necessaria o bisogna andare in banca a farsi finanziare l’operazione. E qui entrano in gioco le verifiche che gli istituti fanno sulla sostenibilità del debito per chi chiede un finanziamento: la regola di massima è che la quota mensile da pagare debba restare entro il terzo del reddito familiare netto. È presumibile che molti tra i contribuenti con un reddito così basso (e magari già con un mutuo a carico) non abbiano la forza di sostenere il pagamento di una rata mensile di un prestito. Riducendo ancora il perimetro di chi potrà avere accesso al 90 per cento. E gli ostacoli non finiscono qui: la legge esclude i titolari di diritti personali di godimento su un immobile dalle agevolazioni. Tradotto (e la relazione illustrativa del decreto al Senato conferma): sono esclusi comodatari, locatari e, soprattutto, familiari conviventi, che non potranno più pagare i lavori. A farsi carico delle spese, in sostanza, dovrà essere il proprietario con le sue sole forze.
FONTE: IL SOLE 24 ORE