Gare: l’immobiliare di Cassa depositi (CDPI) svincolata dal codice appalti

La società di Cassa Depositi e Prestiti che gestisce i fondi di investimento immobiliare (CDPI) non è un organismo pubblico e come tale non è tenuta ad applicare le procedure di gara previste dal codice appalti per scegliere le imprese a cui affidare i contratti. La precisazione, non di poco conto, visto che CDPI è spesso promotrice di appalti rilevanti, arriva dalla Corte di cassazione, che ha ribaltato la decisione del Consiglio di Stato secondo cui, invece, CDPI Sgr avrebbe avuto i caratteri di una stazione appaltante pubblica e dunque avrebbe dovuto rispettare i paletti del codice.

La sentenza con cui la Corte rimette mano alla questione della qualificazione di CDPI ai fini del codice appalti, negandole i connotati di organismo di diritto pubblico e rendendo più agevole il compito di andare a caccia di imprese per i propri lavori, è stata depositata dalla Corte mercoledì 18 gennaio (sentenza n. 1494/2022).

La pronuncia nasce dal ricorso promosso dall’impresa Pessina esclusa da una gara del 2018 per l’affidamento del secondo lotto dei lavori di ristrutturazione di un grande progetto di riqualificazione immobiliare a Bergamo: la riconversione delle ex-Caserme Montelungo Colleoni in campus e spazi per l’università su progetto (assegnato con concorso internazionale) dello studio italo-spagnolo Barozzi-Veiga.

La sentenza, molto articolata, ripercorre tutte le tappe della normativa e della giurisprudenza italiana ed europea, chiarendo che «ai fini della qualificazione di un soggetto come organismo di diritto pubblico, è necessario che ricorrano cumulativamente tutte le condizioni prescritte dalla direttiva, sicché non risulta sufficiente che un’impresa sia stata istituita da un’amministrazione aggiudicatrice o che le sue attività siano finanziate con mezzi finanziari derivanti dalle attività dalla stessa esercitate». È questo, in una brutale sintesi, il motivo per cui i giudici della Cassazione non condividono «la qualificazione della CDPI come organismo di diritto pubblico, operata dal giudice amministrativo sulla base della mera costituzione della società ad opera della Cassa Depositi e Prestiti, che ne detiene la partecipazione di maggioranza, e dell’assegnazione alla stessa del compito di gestire fondi d’investimento immobiliare».

Il motivo è che, a ben guardare, CDPI opera «in un settore contraddistinto dall’esistenza di una pluralità di soggetti in competizione tra loro, offrendo al pubblico degli investitori qualificati servizi d’investimento non diversi da quelli prestati dagli altri operatori, sulla base delle medesime regole cui sono assoggettati questi ultimi, e perseguendo obiettivi di rendimento la cui preventiva fissazione esclude, in linea di massima, la possibilità di lasciarsi guidare, nell’esercizio della propria attività, da considerazioni diverse da quelle economiche».

La sentenza riconosce che lo scopo ultimo dell’operazione «risponde indubbiamente ad un interesse generale, costituito dalla valorizzazione, gestione ed alienazione del patrimonio immobiliare pubblico, ma tale obiettivo viene realizzato ricorrendo ad uno strumento giuridico, quale il fondo d’investimento immobiliare, che prevede l’acquisizione d’immobili individuati dagli stessi gestori con l’utilizzazione di risorse economiche reperite sul mercato attraverso l’offerta di quote agli investitori, cui dev’essere assicurata un’adeguata remunerazione, non diversamente da quanto accadrebbe in un’operazione d’investimento immobiliare posta in essere dal gestore di un fondo privato».

La conclusione allora è che «ai fini dell’affidamento di lavori, servizi o forniture» CDPI «non può pertanto considerarsi tenuta, nella scelta del contraente, al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica, con la conseguenza che le relative controversie restano sottratte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo».

 

Fonte: Il Sole 24 Ore



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