Il 19 giugno scorso è stato presentato lo studio “Energy Efficiency Report 2024”, realizzato dall’Area Energy&Strategy della School of Management del Politecnico di Milano, da cui emerge che la recezione e l’adeguamento dell’Italia alla cd. Direttiva Case Green costerebbe al nostro Paese circa 180 miliardi di euro.
Ricordiamo, appunto, che l’Italia non ha ancora recepito la Direttiva che per gli edifici residenziali ha un target di riduzione dei consumi di energia del 16% al 2030 rispetto al 2020. Al momento, secondo i calcoli del team di Energy & Strategy, sarebbero da efficientare almeno il 43% degli immobili in classe G, che rappresentano circa il 40% del parco immobiliare italiano: un intervento che costerebbe tra i 93 e i 103 miliardi di euro, a cui ne andrebbero aggiunti altri 80 per coprire il restante 45%, e intervenire sugli edifici delle altre classi energetiche.
Il modello del Politecnico è stato elaborato analizzando sei casi abitativi: appartamento in condominio di dieci unità e villetta monofamiliare al Nord, Centro e Sud. Per ognuno sono stati previsti tre scenari di riduzione dei consumi, ovvero: l’opzione uno, il cambio della caldaia, è un intervento che ha costi ridotti (26-30 mila euro per un condominio, 3,5mila euro per una villetta), ma riesce a malapena a raggiungere il 20% di riduzione richiesto. Con le opzioni due e tre ci si avvicina al 70% di riduzione, ma servono interventi che comprendono cappotto, installazione di pompa di calore e impianto fotovoltaico. In questo caso i costi lievitano a circa 55-60 mila euro per una villetta e intorno ai 400mila per un condominio.
Nel 2023, gli investimenti in efficienza energetica in Italia sono stati pari a circa 85-95 miliardi di euro, trainati dal settore residenziale, grazie al Superbonus (55-59 miliardi di euro, il triplo dei 20 miliardi scarsi spesi nel 2022), e dal terziario (25-29 miliardi). Decisamente poco rilevanti invece la Pubblica Amministrazione, i cui investimenti sono supportati principalmente da PREPAC, PNRR e Conto Termico, e il settore industriale, che ha tuttavia registrato un aumento del 20% rispetto al 2022.
Secondo il Vice Direttore di Energy & Strategy, Davide Chiaroni, lo slittamento dell’orizzonte 2030 di almeno cinque anni diventa quasi una necessità dal momento che, dall’insediamento del nuovo Parlamento, in termini previsionali mancano quattro anni alla scadenza del primo target: «Lavorare sul 43% di cinque milioni di edifici (la stima dei più inefficienti) in quattro anni vorrebbe dire attivare 800mila cantieri all’anno. Per quanto riguarda l’Italia, per un’operazione di larga scala serve riportare sul tavolo strumenti come la cessione del credito, sicuramente migliorabili, ma che permettono ai cittadini di agire sui propri immobili».