Le imprese non hanno ancora ricevuto le compensazioni previste per l’impennata dei prezzi dei materiali edili rilevato nel primo semestre del 2021, che tutto rischia di tornare alla casella di partenza. A meno di non prevedere un conguaglio a fine operazione. Il TAR del Lazio ha in parte accolto le contestazioni mosse dai costruttori dell’ANCE (assistiti dallo studio Satta Romano) contro il primo decreto (D.M. 11 novembre 2021) emanato dal MIMS con le rilevazioni dei rincari subiti dai 56 materiali edili più significativi nel primo semestre del 2021.
Nel mirino delle imprese erano finiti in particolare i rincari di 15 materiali dei 56 considerati dal provvedimento (lamiere, tubi, nastri, fibre di largo uso nei cantieri). Materiali per cui, avevano attaccato le imprese, sul mercato era stata rilevata «una differenza con gli aumenti percentuali rilevati dal MIMS addirittura superiore al 20% e, quindi, oltre ogni ragionevole margine di errore statistico. Colpa, secondo i Costruttori, di un metodo di rilevazione dei prezzi «lacunoso e disomogeneo», basato sulla media ponderata di dati calcolati da Provveditorati, Unioncamere e ISTAT». Nel ricorso si citava come emblematico il caso dell’Emilia-Romagna, che aveva fatto registrare per 10 materiali su 15 una variazione percentuale pari allo 0%, indicando per il 2021 i medesimi prezzi medi del 2020.
Anomalie riconosciute dai giudici, che nella sentenza (n. 7215 del 3 giugno 2022) sottolineano come «dall’esame dei dati riferiti al prezzo di alcuni dei materiali monitorati, emergono invero esorbitanti, e non facilmente giustificabili, differenze». Differenze tali, viene sottolineato, da essere ritenute «idonee a minarne la complessiva attendibilità».
In primo luogo il TAR si concentra sulle rilevazioni effettuate dai Provveditorati, da un lato, e dalle Camere di Commercio dall’altro. «Il disallineamento tra la media prezzi ricavate dai due istituti» su lamiere, nastri in acciaio e fibre è talmente ampio «da rendere evidente la presenza di anomalie nel reperimento e nell’elaborazione dei dati stessi».
Anche l’esame dei dati offerti dai singoli Provveditorati «evidenzia rilevanti disallineamenti», non giustificabili solo con le diverse «specificità territoriali». Sul punto la sentenza cita proprio il caso dell’Emilia-Romagna che per alcuni materiali non presenta alcun aumento (rincaro pari a zero), mentre in altre regioni nello stesso periodo e per lo stesso prodotto si va oltre il 100 per cento.
Per i giudici «è indubbio, pertanto, come il Ministero in presenza di simili incongruenze non potesse risolversi nella mera acquisizione del dato e nella sua trasfusione nel decreto» contestato dai costruttori, «ma dovesse opportunamente attivarsi per acclarare in maniera approfondita la causa che aveva generato tali anomalie e approntare i necessari correttivi mediante l’implementazione delle informazioni necessarie». Il TAR non dice che è tutto da buttare nel sistema di rilevazione del MIMS, riconoscendo che «il sistema in sé approntato offra garanzie sotto il profilo procedimentale e sotto quello afferente alla tutela dei contrapposti interessi in giuoco», ma evidenzia la necessità di un affinamento delle fonti e dei metodi utilizzati, che hanno portato a risultati anomali.
Di qui la decisione di accogliere in parte il ricorso dell’ANCE (che in via principale aveva chiesto l’annullamento del decreto) imponendo al Ministero delle Infrastrutture una verifica più puntuale dei rincari subiti dai 15 materiali messi sotto la lente dalle imprese «per addivenire ad un affinamento delle rilevazioni condotte con riguardo alle voci di prezzo in questione e all’approntamento degli eventuali opportuni correttivi sulle risultanze emerse».
Fonte: Il Sole 24 Ore