Riportiamo di seguito l’intervista de La Nuova Ferrara a Paolo Alberti Pezzoli, Vicepresidente di ANCE EMILIA.
Stanno emergendo casi in cui il superbonus 110% si sta rivelando una trappola per i proprietari delle case. Quali sono gli aspetti critici di una procedura che fin dall’inizio è apparsa complessa e macchinosa?
«Il 110% rappresenta un elemento di forte innovazione del panorama normativo sugli incentivi fiscali in ambito di ristrutturazioni edilizie e, al pari di qualsiasi altra legiferazione che porta modifiche cosi radicali, ha necessitato di un periodo di “collaudo” utile alla piena entrata a regime. Sono note le numerose modifiche susseguitesi dal primo impianto normativo, cambiamenti che di certo hanno comportato la necessità per gli operatori di settore di un difficile e continuo aggiornamento. Sono tuttavia difficoltà alle quali siamo abituati, credo sia utile ricordare il numero spropositato di ordinanze emanate in ambito di ricostruzione post sisma del 2012, ma che non ha impedito di raggiungere i risultati apprezzabili oggi a distanza di dieci anni.
Sono stati pubblicati diversi studi sull’impatto economico e sociale della normativa sul 110% in questi primi anni di applicazione, per non citare lo studio di ANCE, che potrebbe essere ritenuto di parte, ricordo lo studio di Nomisma e quello della Luiss Business School che, oltre a dimostrare come il costo per le casse dello Stato è molto inferiore rispetto ai numeri girati sulla stampa negli ultimi mesi, hanno messo in evidenza le importanti ricadute sul Pil, sull’occupazione oltre che sul tanto decantato impegno verso la transizione ecologica del parco immobiliare italiano. Fatta questa doverosa premessa, oggi i problemi sono sostanzialmente relativi alla “cessione del credito”, cioè il meccanismo attraverso il quale impresa o committente monetizzano immediatamente la detrazione fiscale maturata, e permette quindi, anche a chi non ha la liquidità necessaria, di poter eseguire i lavori. I cambiamenti normativi apportati sul punto dall’attuale Governo dimissionario, a mio parere, non sono stati finalizzati tanto al contrasto del fenomeno delle frodi che, ci tengo a ricordarlo, non hanno sostanzialmente riguardato il 110% (si parla indicativamente del 2/3% del totale delle truffe, una percentuale che definirei “meglio che svizzera”), bensì ad altre tipologie di detrazioni e in particolare il bonus facciate. Ritengo invece che il vero obiettivo, neanche poi cosi celato, fosse l’ostacolare il più possibile l’applicazione della normativa e rallentare l’accesso al beneficio fiscale in modo da ridurre l’impatto sulle casse dello Stato.
Purtroppo questo cambio delle regole fatto “in corsa”, senza alcuna tutela per i cantieri avviati, ha comportato la tragica situazione che stiamo vivendo oggi: imprese a cittadini con i cassetti fiscali colmi di crediti verso l’erario ma incapaci di venderli, quindi senza la liquidità necessaria a proseguire i lavori iniziati. Se questa situazione non cambierà a brevissimo, e un’occasione potrebbe essere l’imminente approvazione del Decreto Aiuti Bis attualmente in discussione in Parlamento, il 110% potrebbe trasformarsi da una grande opportunità a una vera e propria trappola che porterà a un aumento vertiginoso di contenziosi civili, fallimenti di imprese, e cittadini che rimarranno con i cantieri incompleti senza la possibilità di far fronte agli importanti costi necessari alla loro ultimazione».
Tema centrale è il rapporto con le banche e la crescente resistenza degli istituti a rifondere le anticipazioni: quali sono le sue valutazioni? Siete a conoscenza di casi, nel Ferrarese, in cui l’anticipo è rimasto scoperto?
«Le banche sono, con le assicurazioni, i principali attori in grado di acquisire i crediti d’imposta maturati con l’esecuzione dei lavori che beneficiano del 110%. In forza di quanto vi ho appena detto, oggi sono tutte sostanzialmente bloccate e, quelle che non sono definitivamente uscite da questo mercato, hanno comunque sospeso l’operatività. Esempi di aziende in difficoltà a causa di questa dinamica si trovano sicuramente tra gli associati ANCE EMILIA, al pari di tutte le imprese italiane che si sono fidate di questa normativa».
In che modo uscirne allora?
«Oggi è indispensabile rimettere in moto la circolazione dei crediti fiscali: il primo obiettivo è un chiarimento sulla responsabilità solidale dei cessionari. Su questo punto inizialmente la norma era a mio parere inequivocabile: il cessionario risponde solo in caso abbia partecipato a porre in essere la truffa. Tuttavia i successivi interventi, in particolare dell’Agenzia delle Entrate, hanno messo in discussione questa certezza e posto in forte difficoltà gli stessi istituti di credito che, nel dubbio, e stando così le cose, hanno preferito defilarsi. Oggi è necessario ristabilire l’originale quadro normativo. Altra attività indispensabile è il ritorno sul mercato di due tra i principali player nel mercato dell’acquisto dei crediti: Cassa Depositi e Prestiti e Poste Spa: credo che il ritorno di questi soggetti, che hanno come principale azionista proprio lo Stato, agevolerebbe sostanzialmente la ripresa di fiducia verso tale meccanismo anche da parte di tutti gli altri attori».
La corsa al superbonus ha indotto molte imprese a ricorrere ai subappalti per poter soddisfare le richieste: in che modo viene garantita la qualità e il rispetto delle norme sulla sicurezza sul lavoro? Non sono mancati, nella nostra provincia, casi di infortuni anche mortali.
«Il subappalto non è un male di per sé: il settore edile si caratterizza per un’ampissima gamma di tipologie di lavorazioni che nel tempo sono diventate sempre più specialistiche; è evidente, per fare un esempio, che l’installazione di una finestra richiede competenze, mezzi e attrezzature diverse dalla realizzazione di un intonaco.
A mio modo di vedere è impensabile che un’unica azienda possa garantire il know-how necessario all’esecuzione a regola d’arte, e in modo efficiente, di tutte le lavorazioni necessarie al completamento di un cantiere. Il vero problema nasce nel momento in cui chiunque, semplicemente aprendo una partita iva o modificandone l’oggetto sociale, possa lavorare nell’ambito dell’edilizia privata alla pari di un’impresa che magari ha 50 anni di storia alle spalle, un’organizzazione strutturata, certificazioni ISO, etc. ANCE si è battuta molto affinché, cosi come per gli appalti pubblici, e come è successo per la ricostruzione post sisma del 2012, anche in ambito 110% fosse richiesta la certificazione SOA per l’esecuzione delle opere. Riteniamo infatti che a oggi questo sia l’unico strumento esistente in grado di definire in maniera oggettiva le caratteristiche minime che un operatore debba avere per consentire le giuste tutele al committente. Chiaramente non è sufficiente a dimostrarne la serietà, la solidità e altri fattori che devono comunque essere valutati di caso in caso, ma la SOA garantisce quanto meno che l’azienda ha esperienza nel settore, personale formato, mezzi, attrezzature e quant’altro distingue e qualifica un’impresa di costruzioni. Anche per quanto attiene alla sicurezza sul posto di lavoro ritengo ci sia una relazione tra la struttura aziendale e il verificarsi di eventi drammatici come morti e infortuni sul lavoro: tale circostanza emerge anche dal Piano Regione Emilia Romagna della Prevenzione 2020-2025 secondo il quale la piccola, e spesso piccolissima, dimensione dell’impresa può essere un fattore determinante di diseguaglianze nella condizione, anche sulla sicurezza, dei lavoratori. È evidente come anche un solo infortunio è inaccettabile nello svolgimento della funzione professionale, tuttavia trovo anche corretto ricordare che, se si mettono in relazione il numero di lavoratori impegnati, le ore lavorate e il numero di infortuni degli ultimi anni, il trend resta in calo. Ovviamente la ripresa economica degli ultimi due anni, trainata in particolare dal 110% per quanto attiene al settore delle costruzioni e non solo, ha comportato un importante aumento dei cantieri attivi e, fortunatamente non in maniera proporzionale, un aumento del numero di sinistri».
Vi risulta che siano più esposti a rischi e difficoltà i condomini, in cui la procedura è seguita da un amministratore, o i privati?
«Chiaramente le procedure necessarie per l’attivazione di una pratica condominiale comportano di certo maggiori difficoltà rispetto al caso di un’abitazione monofamiliare, ma non dipende dal fatto che la procedura sia seguita da un amministratore, bensì dal fatto che partecipano al processo molti più portatori di interesse che devono necessariamente trovare un equilibrio tra le varie esigenze».
Che tipo di controlli svolge ANCE su affidabilità e la serietà delle imprese?
«Chi si associa ad ANCE EMILIA riconosce e adotta il Codice etico di ANCE Nazionale che forma parte integrante dello statuto associativo. Il Codice contiene una serie di impegni concreti volti alla promozione della legalità che devono essere rispettati in modo rigoroso, certamente dagli imprenditori che rivestono cariche associative ma anche da parte di tutte le imprese associate. Detto questo, in fase di richiesta di adesione, la nostra struttura raccoglie documentazione probante aspetti fondamentali per l’identificazione dell’impresa quali la regolarità contributiva e, appunto, il rispetto dei comportamenti previsti dal Codice etico».
In allegato, l’intervista completa.
FONTE: La Nuova Ferrara