Decennale sisma Emilia: l’intervista al Presidente e l’inserto speciale dedicato alle Imprese di ANCE EMILIA

Riportiamo di seguito l’intervista, pubblicata oggi sul Resto del Carlino, al Presidente della nostra Associazione, Leonardo Fornaciari.
L’intervista, così come le allegate pagine dedicate agli interventi di ricostruzione post-sisma realizzati dalle nostre Imprese Associate, sono state pubblicate in un inserto speciale per commemorare il decennale del sisma Emilia del 2012.

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In molti paesi, il sisma di dieci anni fa lasciò solo macerie. Abitazioni, chiese, capannoni: tutto crollato o irrimediabilmente compromesso. Il passo successivo alla disperazione fu, quindi, impostare la ripartenza. Un percorso di rinascita, dalle fondamenta ai tetti, che vide in prima fila l’ANCE (Associazione Nazionale Costruttori Edili). «Tanto lavoro, ma anche qualche ‘intoppo’ burocratico», è in sintesi il ricordo di quegli anni del Presidente di ANCE EMILIA Leonardo Fornaciari.

Fornaciari, il sisma cosa ha rappresentato per l’ANCE?
«Dal punto di vista umano, fu ovviamente una disgrazia. Tanti di noi hanno perso parenti e amici, le industrie con le quali collaboravamo andarono distrutte. Tuttavia, per molte aziende divenne senza dubbio una grande opportunità lavorativa».

In un contesto di crisi…
«Esatto. Il comparto edile stava vivendo un momento di completo stallo. Da questo punto di vista, il sisma ha dato una possibilità a tante imprese del territorio. Tutte qualificate, ci tengo a sottolinearlo, perché un requisito fondamentale per poter lavorare con i finanziamenti era possedere l’attestato SOA, un documento che comprova la capacità dell’impresa di eseguire opere pubbliche con importi superiori a 150mila euro».

Su quanti fondi avete potuto contare?
«Arrivati a marzo 2022, sono stati stanziati 817 milioni per finanziare 2.300 interventi nell’ambito delle opere pubbliche. Per il privato, invece, abbiamo superato i 5 miliardi, di cui 3,1 miliardi per ricostruire le abitazioni (con quasi 10mila interventi) e 1,9 per le attività produttive (circa 3.500 lavori)».

A che punto siamo con la ricostruzione?
«Per la parte pubblica siamo in una fase embrionale. È ancora quasi tutto da sanare: sia perché l’iter pubblico è più lento, sia perché riguarda edifici su cui è più complicato intervenire. Serviranno altri fondi: parliamo di miliardi di euro».

E per il privato?
«Qui siamo arrivati all’ultimo miglio: con un altro miliardo circa sarà tutto ricostruito. Anche per questo auspichiamo che si passi presto dallo stato emergenziale a un sistema di gestione ‘amministrativa’ delle pratiche. In questo modo, la Struttura commissariale potrebbe disporre di maggior autonomia nella gestione del personale e dei fondi».

Un ‘auspicio’ dovuto a qualche intoppo burocratico durante la ricostruzione?
«Purtroppo sì. Le ordinanze individuano solo tre figure che possono intervenire nel processo di ricostruzione: il beneficiario, il progettista e la Struttura commissariale. Il grande escluso è il settore edile che, invece, ha un ruolo centrale in questo procedimento: ciò ha comportato una serie di effetti negativi».

Qualche esempio?
«Le imprese che lavorano nei cantieri del sisma sanno quando rendicontare gli interventi eseguiti, mentre non sono a conoscenza di quando saranno pagate. I Comuni si sono trovati a fare i conti con moltissime pratiche e, quindi, con grossi ritardi nell’approvare i SAL (Stato avanzamento lavori, ndr) per pagare le imprese. Per tanto tempo, le aziende edili sono state il ‘salvadanaio della ricostruzione’».

Ritardi di che tipo?
«Di mesi e mesi, in certi casi anche oltre un anno. Sono tempistiche che vanno oltre i normali contratti d’appalto, in cui i casi limite dovrebbero essere sui cento giorni. La rapidità con cui abbiamo ricostruito non è stata la stessa con la quale abbiamo ‘intascato’. Per questo voglio fare un appello».

Prego…
«Ho l’impressione che la pandemia, la guerra e la corsa al PNRR abbiano ‘spento i riflettori’ sulla ricostruzione. Invece è questo il momento in cui accelerare: le amministrazioni devono ai più presto consentire il saldo dei lavori già eseguiti. Tante aziende non ce la fanno
più, non possono aspettare oltre. Nel privato abbiamo quasi ultimato la ricostruzione: non possiamo fermarci a pochi metri dal traguardo».

Un altro problema è il boom dei prezzi delle materie prime.
«Esatto. La maggior parte dei progetti approvati è del 2015: quei prezzi ora sono saliti di circa il 30 per cento, anche per la difficoltà a reperire le materie prime a causa della guerra. Ci aspettiamo dalla Regione un’ordinanza che estenda i valori dei nuovo prezzario regionale, aggiornato nei 2021, anche ai cantieri privati e con effetto retroattivo dall’anno scorso. Mantenendo i vecchi prezzi sarebbe impossibile completare la ricostruzione».

Cos’è cambiato nel comparto edile dopo il terremoto?
«Dal 2018, le norme d’attuazione sono diventate più rigide perché dettate dal pericolo sismico. In passato, invece, le regole erano più lassiste perché si pensava che la nostra regione non fosse a rischio. Sia nelle costruzioni ex novo che nelle ristrutturazioni, è aumentata molto l’incidenza del cemento armato e del ferro, nonché l’utilizzo di malte speciali, in ogni caso, le nostre aziende non hanno avuto alcun problema ad adeguarsi. Anzi, per noi è meglio lavorare su strutture più ‘sicure’».

Qual è il suo giudizio complessivo sulla ricostruzione?
«Buono, al netto di qualche ‘scoglio’ burocratico. L’obiettivo è stato raggiunto e il modello emiliano-romagnolo è stato usato per i terremoti del Centro Italia. Abbiamo dimostrato di poter essere un esempio per ii Paese».



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